La guerra in Ucraina è iniziata in Georgia.

Sono trascorsi quindici anni dall’invasione del territorio georgiano da parte di Putin. A Tbilisi, con un conflitto mai finito, il Cremlino ha cristallizzato l’arte dell’impunità ed è arrivato a un passo da Kyiv.

Quindici anni fa, durante un vertice della Nato che si teneva a Bucarest, i paesi dell’Alleanza atlantica si erano convinti che il modo migliore per calmare Vladimir Putin fosse accontentarlo. In alternativa: distrarlo. A quel summit, si decise di rimandare, frenare, annullare le richieste della Georgia e dell’Ucraina di entrare nell’Alleanza atlantica, perché altrimenti il Cremlino si sarebbe irritato, avrebbe reagito, sarebbe diventato pericoloso. Vladimir Putin non ricambiò la cortesia che gli usarono i membri della Nato, con Germania e Francia in testa, e invase la Georgia: più che pericoloso si fece mortale. Prima portò i suoi mezzi militari vicino al confine georgiano con la scusa di un’esercitazione, e i soldati rimasero ben oltre la durata delle esercitazioni. Allora  il Cremlino iniziò a  organizzare l’evacuazione di donne e bambini dal territorio georgiano dell’Ossezia del sud verso quella del nord, che si trova in territorio russo. In concomitanza con le esercitazioni prima e le evacuazioni poi, da Mosca arrivavano denunce continue di abusi, violenze e atrocità commessi dai georgiani ai danni della popolazione dell’Ossezia del sud. Il presidente della Georgia era Mikheil Saakashvili, dirompente, innovatore, irruente, istrionico, e in quei giorni di confini mobili, passaggi di truppe, missioni di peacekeeping che non lo erano, esplosioni, incursioni di truppe russe nel territorio georgiano, decise di agire con cautela e  stabilì una tregua unilaterale perché voleva spingere i russi a trattare, sedersi al tavolo. Non ne avevano intenzione, preparavano l’invasione, avevano tutto pronto per l’attacco totale che partì la sera dell’8 agosto e interessò la capitale Tbilisi e anche Gori, la città di Stalin. I missili russi volarono sopra le città georgiane e gli stessi leader, che avevano pensato di assicurare la tranquillità del continente europeo e la longevità dei rapporti con Putin, cercarono di mediare la fine della guerra. Fu rapida e dolorosissima, si guadagnò il nomignolo di “guerra d’agosto”, come se fosse durata un mese, un colpo di calore, un episodio drammatico ma dimenticabile. Morirono circa duecento persone e il 20 per cento del territorio georgiano rimane ancora occupato   dalla Federazione russa e resta incastonato nel destino della Georgia come una scheggia.

10/08/2023

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