Incastonata tra le arcane acque del Mar Nero e le maestose montagne del Caucaso, luogo in cui il divino Zeus – re degli dei Olimpi e dio del cielo – incatenò il ribelle Prometeo, sorge Sakartvelo, una nazione incantata le cui origini si perdono nella notte dei tempi.

Nota ai più come ex Repubblica Sovietica dalla situazione politica perennemente instabile, la Georgia è un paese dal passato glorioso e complesso le cui origini affondano nell’antichità. Una civiltà millenaria, con una lingua e tre alfabeti unici al mondo dichiarati dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità.

Terra delle Amazzoni e del Vello d’Oro, e meta di Giasone e gli Argonauti, Sakartvelo era originariamente frazionata negli antichi regni di Colchide ed Iberia (nome dato dagli antichi Greci e Romani al Regno di Cartalia). Dalle numerose opere letterarie dell’età classica in cui è citata, emerge come la Colchide fosse percepita, nell’antichità, come un luogo remoto intriso di mistero e immerso nella leggenda, una terra ricca e fertile posta all’estremo oriente dell’Ecumene – il mondo allora conosciuto – il luogo dove sorgeva il Sole e dove Prometeo venne punito da Zeus per aver donato il fuoco all’umanità. Secondo lo storico e genealogista Cyril Leo Toumanoff, “la Colchide sembra essere stata il primo stato caucasico in cui si sia realizzata l’integrazione tra i nuovi arrivati e può essere considerata non un regno proto-georgiano, bensì un regno propriamente georgiano (georgiano occidentale). […] Sembrerebbe naturale individuare gli inizi della storia sociale georgiana nella Colchide, la più antica formazione politica georgiana.”



Nel VI secolo a.C. la Colchide venne conquistata prima dall’Impero Medo e poi dall’Impero Persiano, attraendo anche i greci milesi. Nel IV secolo a.C., in seguito alle conquiste di Alessandro Magno e al conseguente collasso dell’Impero Persiano, l’entroterra cadde sotto il dominio del Regno di Iberia governato dalla dinastia farnabazida, per poi essere conquistato attorno al 101 a.C. da Mitridate VI, il quale governava i regni del Ponto e del Bosforo Cimmerio. Nel 63 d.C. la Colchide divenne parte dell’Impero Romano e nei secoli successivi subì numerose invasioni ad opera di popolazioni barbare. Tra il III e il IV secolo parte del suo territorio venne soggiogato da re lazici; quando il regno vassallo finalmente crollò, sul suo territorio si formarono cinque regni, il più grande dei quali era Lazica.

La nazione georgiana fu unificata per la prima volta attraverso la fusione dei regni georgiani del Caucaso centrale ed occidentale all’inizio dell’XI decolo d.C. su iniziativa di David III il Grande, un principe di Tao proveniente dalla più antica famiglia reale del mondo cristiano: la dinastia dei Bagrationi. Il forte legame dei Bagrationi con il Cristianesimo è enfatizzato dalla presenza, tra gli stemmi in uso presso i diversi rami della dinastia, della tunica inconsutile di Cristo, la veste senza cuciture indossata da Gesù poco prima della sua crocefissione che i georgiani ritengono essere sepolta sotto la cattedrale di Svetitskhoveli nell’antica città di Mtskheta; secondo altri, essa sarebbe invece la sacra tunica custodita in Germania presso il Duomo di San Pietro a Treviri o quella conservata in Francia ad Argenteuil.


Il nuovo regno unificato della Georgia ebbe come primo sovrano Bagrat III, un principe dei Bagrationi di Abkhazia imparentato con David il Grande e da lui adottato. Si espanse, divenendo il primo impero pan-caucasico, e fiorì durante l’era di Davide IV, detto “Il Costruttore” (1089-1125) e della Regina Tamar (1184-1213), sua pronipote, in quella che è stata definita l’Eta d’oro georgiana.

“Re dei Re e Regina delle Regine” secondo le fonti dell’epoca e canonizzata dalla Chiesa apostolica autocefala ortodossa georgiana, nel corso dei secoli Tamar ha assunto uno status pressoché leggendario. Associata ad un’epoca di grandi successi militari e straordinario sviluppo culturale, la sua figura è ancora oggi, ottocento anni dopo la sua morte, oggetto di intensa venerazione. Ritenuta il sovrano georgiano più amato di tutti i tempi, è ricordata in numerose forme d’arte, tra le quali la danza Samaia del Balletto Nazionale Georgiano Sukhishvili che la rappresenta nel suo triplice status di giovane principessa vergine, madre avveduta e premurosa, e regina potente, personificazione della delicatezza femminile, della saggezza e del potere reale. Una ricostruzione moderna del suo abito cerimoniale effettuata sulla base di antichi affreschi murali tuttora esistenti e decorata con 3621 perle è parte dell’esposizione permanente dell’ Art Palace di Tblisi.



A partire dall’invasione mongola del 1236, avvenuta circa un ventennio dopo la morte della Regina Tamar, il regno georgiano andò progressivamente incontro ad una nuova frammentazione fino alla formazione di tre nuovi regni georgiani, ciascuno con a capo un diverso ramo dei Bagrationi. Verso il finire del XV secolo la dinastia governava i regni di Kartli, di Kakheti e di Imereti. In ciascun regno cominciarono a svilupparsi costumi tradizionali ed abiti nazionali differenziati. Inizialmente, essi assolvevano ad una funzione meramente pratica legata ai diversi climi e condizioni geografiche. Progressivamente, tuttavia, il loro sviluppo trascese la funzionalità e assunse valore simbolico, riflettendo, a seconda dei casi, identità regionale, status sociale e, talvolta, tendenze politiche.



Originato intorno al secolo VIII nelle regioni montuose del Khevsureti e dello Svaneti ma gradualmente diffusosi in larga parte del Caucaso, anche il Chokha – un cappotto di lana tipicamente maschile dal taglio a vestaglia stretto in vita e scampanato per il resto della sua lunghezza – si evolse, differziandosi geograficamente e assumendo il suo stato finale in concomitanza con lo sviluppo delle armi da fuoco. Fu proprio quest’ultimo che determinò la comparsa sul Chokha dell’elemento che lo rende inconfondibile: le gazyrnicy, ovvero le caratteristiche cartucciere che ne decorano il petto, diffusesi a partire dal XVIII secolo. Da allora, il Chokha è solitamente indossato su una camicia detta akhalukhi e accessoriato con una spada (khanjali), delle cartucce (masrebi), un cappuccio (kabalakhi) separato dal cappotto e un alto cappello di pelliccia (nabdis kudi). Anticamente riservato ai nobili e alle classi sociali più elevate, il Chokha è oggi divenuto l’abito nazionale georgiano.

Nel XVI Secolo l’influenza turca e persiana sull’abbigliamento georgiano divenne particolarmente evidente per poi accentuarsi ulteriormente nel secolo successivo, in special modo per quanto attiene ai copricapi maschili. Spettacolari quelli immortalati dal missionario teatino Cristoforo Teramo Castelli (1597-1659) nei diari di viaggio da lui redatti e illustrati nell’arco della sua permanenza in Georgia tra il 1631 e il 1654. Scoperti nel 1878 da Padre Gioacchino di Marzo e finemente restaurati, essi sono oggi conservati presso la Biblioteca Comunale di Palermo, città dove l’ecclesiastico genovese si spense poco dopo il suo rientro in Europa. Nel 2022, una selezione di straordinari ritratti di nobili, guerrieri e gente comune estratti dal suo manoscritto in sette volumi è stata oggetto di una mostra presso il Museo Nazionale Georgiano organizzata dall’Ambasciata Italiana a Tblisi per celebrare trent’anni di rapporti diplomatici tra la Georgia e l’Italia.







Di grande importanza per la ricostruzione della storia del costume georgiano sono anche le miniature dell’artista georgiano del XVII secolo Mamuka Tavakalashvili (noto anche come Tavakarashvili), poeta, pittore e calligrafo presso la corte del Re di Imereti, e calligrafo personale del Principe Levan II Dadiani.




Tra i pionieri dello studio dell’abbigliamento tradizionale georgiano anche il principe Vakhushti Bragation di Kartli (1696–1757) – geografo, cartografo e storico autore di due scritti, Descrizione del Regno di Georgia e Atlante Geografico, inseriti dall’UNESCO nel suo Registro della Memoria del Mondo – e i viaggiatori stranieri Arcangelo Lamberti, Sir Robert Ker Porter e Jean Chardin. Quest’ultimo visitò la Georgia negli anni ’70 del XVII secolo redigendo osservazioni dettagliate sull’abbigliamento dell’epoca e sulle analogie e differenze tra abiti persiani, georgiani ed europei.





Abiti maschili settecenteschi di eccezionale bellezza confiscati all’aristocrazia georgiana successivamente alla Rivoluzione Bolscevica e donati nel 1921 al Film Studio di Tblisi per il loro utilizzo in produzioni teatrali e cinematografiche sono oggi conservati ed esibiti presso l’Art Palace della capitale georgiana. Tra questi: un abito di nobile georgiano, possibilmente un membro della famiglia reale, decorato con la tecnica del Vercxlmkedi e 1048 perle ricamate su prezioso broccato russo, utilizzato cinematograficamente come costume del Re Luarsab nel film George Saakadze (1942); un completo in tre pezzi (una tunica interna detta Kaba, termine persiano utilizzato in Georgia a partire dal XIII secolo,un soprabito ed una cappa) in finissimo broccato persiano decorato con un totale di 1692 perle, incluse perle andaluse diffusesi in Georgia a partire dall’VIII secolo, anch’esso utilizzato come costume del Re Luarsab nel film George Saakadze; ed un abito principesco in broccato d’argento con petto e polsini decorati con coloratissimi ricami a motivo floreale ed una spettacolare cintura adornata da 365 perle, 14 pietre preziose ed una fibbia in argento e vetro colorato.



Di grande interesse anche uno splendido costume ottocentesco in velluto di seta ricamato a motivi vegetali in oro e argento con una tecnica nota come Ok’romkedi e decorato con oltre tremila dettagli di metallo. Il lungo strascico presente in origine venne eliminato nel XX secolo per adattare il costume al personaggio della Regina Tekle nel film George Saakadze (1942).

Retti da tre diversi monarchi, i tre regni georgiani lottarono a lungo contro la dominazione ottomana e iraniana per mantenere la propria autonomia finché, all’inizio del XIX secolo, vennero annessi all’Impero Russo. L’ultimo re georgiano fu Giorgi XII di Georgia (1746 – 1800), sovrano del Regno di Cartalia e Cachezia, i cui ultimi discendenti appartengono al ramo genealogicamente ultrogenito dei Bagrationi-Gruzinski.

A seguito dell’annessione, la famiglia reale e l’aristocrazia georgiana vennero ascritte alla nobiltà russa e ne fecero parte fino alla caduta dell’Impero provocata della Rivoluzione Bolscevica del 1917. Nel 1921 l’invasione della Georgia da parte dell’Armata Rossa e la conseguente ascesa al potere dei Sovietici determinarono per i Bagrationi – come per gli altri aristocratici georgiani – la perdita del proprio status nobiliare e l’espropriazione e confisca dei beni. Diversi membri della dinastia vennero arrestati e deportati, altri si videro costretti alla fuga e trovarono riparo in Europa occidentale finché alcuni loro eredi non fecero rientro in Georgia alla caduta dell’URSS, nel 1991. Tra i rifugiati in Europa, il Principe Giorgi Bagration di Mukrani con suo figlio Irakli (1909-1977), stabilitisi dapprimain Italia, dove Irakli sposò in seconde nozze Donna Maria Antonietta Pasquini, morta di parto a 33 anni dando alla luce il figlioletto Giorgi, e successivamente in Spagna, dove il principe sposò in terze nozze la Infanta Maria della Mercede di Spagna Raimunda di Baviera e Borbone ed ebbe altri due figli: Bagrat de Bagrations y de Baviera e Mariam de Bagration. Nel 1939 il Principe Irakli riattivò, come Gran Maestro, l’Ordine Cavalleresco Ortodosso della Tunica di Nostro Signore e nel 1957, a seguito della morte del padre, si dichiarò Capo della Casa Reale Georgiana in virtù della primogenitura nel più antico ramo ancora esistente della dinastia dei Bagrationi. Tale titolo è tuttora oggetto di disputa da parte del ramo dei Bagration-Gruzinski e del Principe Iraki Bagrationi Imereli.



Per quanto in gran parte dispersi durante il XX secolo in rami stabilitisi in diverse città d’Europa, e in parte rientrati in Georgia dopo il crollo, nel 1991, dell’Unione Sovietica, i Bagrationi hanno sempre mantenuto vivissimo il proprio legame alle tradizioni e alla storia della loro terra d’origine. A seguito della scomparsa del principe Giorgi (1944-2008), figlio del Capo della Real Casa Irakli, e della rinuncia del suo primogenito Irakli alla successione al titolo, l’attuale principe ereditario di Georgia e Capo della Casa Reale dei Bagrationi è il fratello minore di quest’ultimo, il Principe Davit Bragation di Mukhrani, nato in Spagna ma stabilitosi in Georgia nel 2003. In Italia, la famiglia è presente tramite la Principessa Khetevane Bagration de Moukrani -discendente dal ramo stabilitosi in Francia e moglie dello scomparso principe romano Raimondo Orsini d’Aragona – già due volte Ambasciatore di Georgia presso la Santa Sede e fondatrice dell’associazione culturale italo-georgiana “Scudo di San Giorgio”.





Tra i Bagration di Mukhrani presenti in Spagna, particolarmente attivo nel mantenere in vita le tradizioni del paese d’origine è il Principe Juan de Bagration-Mukhrani, fondatore della Georgian Foundation, un’organizzazione non-profit che promuove la cultura georgiana. In Spagna è altresì presente la figlia di primo letto della Principessa Leonida, sorella di Irakli (divenuta Granduchessa Leonida Georgiyevna Romanova in seguito al suo matrimonio in seconde nozze con il Granduca Vladimir Kirillovich di Russia) la Contessa Helene Kirby de Bagration, Contessa Dvinskaya e sorellastra dell’attuale Granduchessa di Russia Maria Vladimirovna.


Donne in costume nazionale georgiano – Fotografia tratta dal sito Advantour
Straordinario ambasciatore dei costumi tradizionali georgiani nel mondo è il Balletto Nazionale Georgiano Sukhishvili, fondato nel 1945 da Iliko Sukhishvili e Nino Ramishvili e oggi condotto con grande professionalità e dedizione dagli omonimi nipoti della coppia. Ballerini tecnicamente eccelsi abbigliati in meravigliosi abiti disegnati da Simon (Soliko) Virsaladze e coreografie strabilianti che si animano sullo sfondo di musiche fiabesche eseguite da un’orchestra di enorme talento rendono gli spettacoli del Balletto Nazionale Georgiano un’esperienza sensoriale assolutamente indimenticabile. Non è un caso che Sukhishvili sia stato, finora, il primo e unico gruppo folkloristico che abbia avuto il privilegio di esibirsi sul palco del Teatro alla Scala di Milano (1967). Il Coro Patriarcale della Cattedrale della Santa Trinità di Tbilisi, massimo esponente del canto polifonico georgiano (primo patrimonio immateriale dell’umanità ad essere inserito nell’apposito elenco UNESCO) ha avuto invece il grande onore di esibirsi all’interno della Cappella Sistina (2022).




L’orgoglio e la fierezza del popolo georgiano e il suo senso di appartenenza ad una gloriosa civiltà millenaria sono evidenti nel modo in cui esso difende, preserva, tramanda e diffonde le proprie tradizioni in una quotidiantà fatta di costumi, musiche, canti e danze secolari. Dai paesaggi maestosi alla lingua incontaminata, dagli antichi guerrieri alle moderne Tamar, dalla caccia al falcone alle danze tradizionali, tutto esiste e resiste in abiti fiabeschi in una fusione tra passato e presente che rende la Georgia un paese unico e senza tempo.
di Mirta Aktaia Fava
Link all’articolo – www.globusrivista.it
23/12/2024