Se la Georgia si sente europea.
Sogno Georgiano?
Considerata per anni una ‘success story’ di democrazia e libertà nella regione del Caucaso, la Georgia sta rapidamente scivolando in basso nelle classifiche della democrazia globale. A preoccupare maggiormente è l’indipendenza giudiziaria e un sistema politico dominato da pochi potenti in una società in rapida trasformazione. Il tutto mentre la ‘questione russa’ – aggravata dalla guerra in Ucraina – resta uno dei nodi di fondo dell’arrancante democratizzazione del paese: dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la dichiarazione di indipendenza nel 1991, le regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale – al confine con la Russia – divennero preda di conflitti separatisti. Tbilisi cercò di riannetterle nel 2008, innescando una guerra dagli esiti disastrosi per la Georgia, che si concluse con l’intervento e l’occupazione da parte delle truppe russe di un quinto del territorio nazionale. Da allora, le ambizioni filo-occidentali ed europeiste del paese e le sue speranze di aderire alla Nato sono di fatto congelate, mentre il consenso per i partiti filorussi, come Sogno Georgiano, al potere dal 2012, è notevolmente cresciuto. In molti ritengono che il suo fondatore, l’eccentrico miliardario Bidzina Ivanishvili, ne eserciti il controllo, e che stia spingendo la Georgia verso l’orbita di Mosca. Nonostante il sostegno schiacciante all’Ucraina nell’opinione pubblica del paese, Tbilisi non si è unita all’Occidente nell’imporre sanzioni alla Russia.
…O sogno europeo?
Lo scorso 24 giugno il sogno europeo di Tbilisi è sembrato sfumare quando, con una storica decisione, il Consiglio europeo ha deciso di concedere lo status di Paese candidato a Ucraina e Moldavia, lasciando invece fuori la Georgia. A pesare sullo stop di Bruxelles, che ha richiesto maggiori passi in avanti, sono stati soprattutto i ritardi nella riforma della giustizia e i progressi troppo lenti sul fronte della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, oltre al basso livello di libertà e pluralismo nei media. Il moltiplicarsi dei casi di corruzione nella classe dirigente, l’incarcerazione dell’ex premier Saak’ashvili e la persecuzione politica di alcuni leader dell’opposizione, sono alla base delle ragioni che hanno spinto Bruxelles a raggelare le i desideri della Georgia lo scorso giugno. Bisogna guardare a quel fallimento politico per capire le proteste che in questi giorni stanno scuotono il paese e che portano in piazza migliaia di persone che manifestano per veder riconosciute le loro aspirazioni europee. Nonostante l’annuncio del ritiro del disegno di legge, i membri dell’opposizione georgiana hanno dichiarato che anche oggi avrebbero organizzato una nuova manifestazione. “Non possiamo fermarci ora” ha detto Tsotne Koberidze, esponente dell’opposizione, che in conferenza stampa ha anche esortato le autorità a rilasciare tutti i manifestanti arrestati durante le proteste di questa settimana.
Tbilisi ricorda Kiev?
È difficile non notare le somiglianze tra la situazione della Georgia e quella dell’Ucraina ante-guerra: entrambe sono ex repubbliche sovietiche, ‘intrappolate’ tra Oriente e Occidente, e che vedono una parte cospicua del proprio territorio nazionale occupato da movimenti indipendentisti sostenuti da Mosca. Per questo, il disegno di legge contro gli “agenti stranieri” nel paese ha fatto suonare più di un campanello d’allarme tra chi sottolinea le analogie con altre normative in vigore in Russia e Bielorussia, veri e propri ‘grimaldelli’ usati per cancellare il pluralismo e le voci della società civile. Anche le scene di migliaia di georgiani che sventolano le bandiere europee lungo viale Rustaveli, di fronte alla polizia antisommossa, ricordano la rivoluzione di Euromaidan in Ucraina. Era il 2013 e gli ucraini scesero in piazza per contestare la decisione dell’allora presidente Viktor Yanukovych di sospendere i colloqui di associazione con Bruxelles a favore di legami più stretti con la Russia. Quelle manifestazioni divennero violente alla fine di novembre 2013, e nel febbraio 2014 i cecchini aprirono il fuoco, uccidendo decine di ucraini. Yanukovich fu costretto a fuggire e il Cremlino inviò le truppe in Crimea. Ieri, nel suo consueto discorso serale, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso solidarietà ai manifestanti, augurando al popolo georgiano un “successo democratico”: “Non c’è ucraino che non augurerebbe il successo alla nostra amica Georgia. Successo democratico. Successo europeo”.
Il Commento
di Eleonora Tafuro Ambrosetti, ISPI Senior Research Fellow
“Oggi, i manifestanti georgiani hanno vinto una battaglia contro il governo, ma non certo la guerra. Il ritiro della proposta di legge, infatti, non garantisce che questa non torni ad essere discussa, né tantomeno indica un cambio di rotta del governo sul piano delle riforme democratiche caldeggiate da Bruxelles. La legge, infatti, è stata approvata nella prima delle tre letture richieste e non può essere semplicemente “revocata”, ma dovrebbe essere bocciata in seconda lettura. È probabile che le proteste riprendano se questo non dovesse succedere o se tutti gli oltre 130 manifestanti arrestati non dovessero essere rilasciati”.
10/03/2023